Prelazione agraria ed imprenditore agricolo: nulla è cambiato dopo il D.Lgs. 228/2001 (c.d. “Legge di orientamento”)

La prelazione agraria consiste nell’attribuzione ad un soggetto qualificato di una preferenza rispetto ad altri soggetti, nel diritto di acquistare un fondo. Tale preferenza, riconosciuta ai coltivatori diretti, ha lo scopo di accentrare la terra nelle mani di chi la coltiva e di costituire così proprietà coltivatrici di convenienti dimensioni per l’evoluzione di strutture agricole sempre più rispondenti allo sviluppo economico della Nazione.

Presupposto della prelazione agraria, sia prima che dopo la c.d. “legge di orientamento” (decreto legislativo n. 228/2001), che ha profondamente innovato la figura dell’imprenditore nonché il novero delle attività agricole, è la sussistenza di un’impresa e la coltivazione diretta e manuale del fondo.

L’errore in cui spesso si cade è quello di credere che il diritto di prelazione spetti alla figura dell’imprenditore agricolo non coltivatore diretto, ed è perciò opportuno fare chiarezza sul punto.

Secondo il combinato disposto degli artt.8 L.590/1965 e 7 L.817/1971 la prelazione agraria sull’acquisto spetta al coltivatore diretto insediato sul fondo ed a quello confinante.

Prendiamo allora in esame la figura del coltivatore diretto : esistono diverse definizioni normative di tale figura che, pur sopra una base comune, presentano qualche elemento differenziale a seconda che si tratti ad esempio, del settore previdenziale o di quello tributario; in ogni caso il coltivatore diretto, per i fini che qui ci interessano, deve essere un imprenditore secondo la definizione dell’art.2135/1° comma del codice civile (“E’ imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. .”), deve coltivare il fondo con il lavoro prevalentemente proprio e di persone della propria famiglia, e questo deve essere sufficiente a coprire almeno un terzo delle esigenze della coltivazione .

Ciò che differenzia le figure dell’imprenditore agricolo coltivatore diretto, e dell’imprenditore agricolo “capitalista” (non coltivatore diretto) è proprio la coltivazione del fondo: mentre il primo coltiva direttamente e manualmente il fondo, il secondo si affida alla propria organizzazione di mezzi e personale, svolgendo quindi un ruolo più dirigenziale che di vera e propria conduzione del terreno.

Per quanto attiene alla figura dell’imprenditore agricolo “capitalista”, sul quale si pubblicherà un approfondimento sui prossimi numeri di questo notiziario, la sua definizione può essere rinvenuta a contrario da quella sopra indicata di coltivatore diretto, ovverosia considerando tale chi, pur svolgendo una attività agricola ex art.2135 c.c ., non coltivi il fondo direttamente con il proprio lavoro e di persona della propria famiglia.

Volendo semplificare la questione, si tenga conto che tutti i coltivatori diretti sono anche imprenditori agricoli, ma non tutti gli imprenditori agricoli sono anche coltivatori diretti.

In questo contesto è opportuno sottolineare che, il decreto legislativo 228/2001 sebbene abbia profondamente innovato la figura dell’imprenditore agricolo, sottolineandone il carattere imprenditoriale, non ha apportato alcuna modifica all’esercizio del diritto di prelazione.

 In ultimo è bene ricordare che, per poter esercitare il diritto di prelazione sull’acquisto di fondi rustici, secondo costante giurisprudenza non v’è necessità di iscrizione in particolari elenchi anche previdenziali, mentre per converso l’iscrizione, pur potendo costituire un indizio, non è sufficiente, a provare la qualifica. Una decisione della Corte d’Appello di Roma del 2/11/1992 (Di Stasio c. Borrelli) riassume al meglio la situazione: ” Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione coltivatore diretto è colui che coltiva un fondo con il lavoro prevalentemente proprio e di persona della propria famiglia, a nulla rilevando che egli abbia altre fonti di reddito o che contemporaneamente sia titolare di pensione di invalidità una volta che si sia accertato in concreto che sia prima che dopo la concessione della pensione egli ha continuato a coltivare direttamente il terreno coadiuvato dai propri familiari”.

(A.D. 2004)