Servitù di panorama – estratto di giurisprudenza (sentenze)

ESTRATTO DI GIURISPRUDENZA IN TEMA DI

SERVITU’ DI PANORAMA / PAESAGGIO

(Per un approfondimento in tema di servitù di panorama, suggeriamo la lettura dell’articolo qui riportato)

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 10/04/2020, n. 7783
L’esistenza di aperture nel muro, sebbene prive della intelaiatura, ma che rivelino, in modo palese, la specifica e normale funzione di consentire l’esercizio della veduta sul fondo del vicino deve considerarsi sufficiente a creare de facto quella situazione che occorre per dar vita alla costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia e ciò in quanto a tale fine non occorre che la situazione oggettiva di subordinazione o di servizio tra i due fondi derivi da opere complete e munite di tutti gli attributi ad esse inerenti, essendo, invece, sufficiente che esistano segni visibili, precisi ed inconfondibili, che valgano a rilevare, obiettivamente ed in modo non equivoco, la destinazione dell’opera all’esercizio della servitù.

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Tribunale Bologna Sez. I, 18/03/2013

La servitù di panorama è qualificata come una servitù altius non tollendi, in cui l’utilitas è costituita dalla particolare amenità di cui il fondo viene ad essere dotato per il fatto che essa conferisce ai suoi proprietari il godimento di una particolare visuale, esclusa essendo la facoltà del proprietario del fondo servente di alzare costruzioni che pregiudicano o limitano tale visuale. E’, dunque, una servitù negativa e non apparente, conferendo al suo titolare la facoltà di vietare al proprietario del fondo servente un particolare e determinato uso del fondo stesso, ovvero la sopraelevazione di edifici. Essa, dunque, non può essere costituita a titolo originario, mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia, ma solo in virtù di un atto di autonomia privata, sia esso contratto o testamento, e come tale soggetto all’obbligo della forma scritta a pena di nullità e della trascrizione nei registri immobiliari per poter essere opponibile ad eventuali terzi acquirenti del fondo servente.

 


 

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Cass. civ. Sez. II, 20-10-1997, n. 10250 (Faggiani c. Fioravanti e altri)

Poichè la cosiddetta servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, è una servitus altius non tollendi (sia costruzioni, sia alberi), per potersi acquistare per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificatamente destinate all’esercizio della servitù invocata.

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Cass. civ. Sez. II, 27-02-2012, n. 2973

Il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo (c.d. servitù di panorama), in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta.

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Cass. civ. Sez. II, 13-06-1995, n. 6683

La servitù, ai sensi dell’art. 1030 c.c. , può anche comportare, per il proprietario del fondo servente, l’obbligo di un “facere”, se così sia stabilito dal titolo o dalla legge, purchè esso costituisca solo una obbligazione accessoria che non esaurisce l’intero contenuto della servitù essendo volto solo a consentirne il concreto esercizio. (Nella specie, la Corte ha ritenuto compatibile con il contenuto della servitù di non collocare e mantenere nel fondo alberi che impedissero la visuale del panorama dal fondo vicino, quello di rimuovere o potare gli alberi già esistenti che ostacolassero l’esercizio della veduta).

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Cass. civ. Sez. II, 27-02-2012, n. 2973 (rv. 621862)

Il diritto di veduta, consistente nella fruizione di un piacevole panorama, che si pretende leso dalla chioma di un albero piantato a distanza legale, integra una “servitus altius non tollendi”, la quale può essere acquistata, oltre che negozialmente, anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di operi visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva riconosciuto il diritto di veduta indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale all’acquisito dell’immobile, così violando il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali). (Cassa con rinvio, Trib. Roma, 13/01/2010)

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Cass. civ., 06-03-1980, n. 1522

In tema di servitù altius non tollendi, il più ampio panorama assicurato al fondo dominante, da valutarsi in relazione alle condizioni ambientali in atto al momento della costituzione della servitù medesima, non esaurisce il requisito della utilitas, che ricorre anche in relazione al maggior godimento di aria e luce garantito a detto fondo.

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Trib. Bologna Sez. I, 18-03-2013

La servitù di panorama è qualificata come una servitù altius non tollendi, in cui l’utilitas è costituita dalla particolare amenità di cui il fondo viene ad essere dotato per il fatto che essa conferisce ai suoi proprietari il godimento di una particolare visuale, esclusa essendo la facoltà del proprietario del fondo servente di alzare costruzioni che pregiudicano o limitano tale visuale. E’, dunque, una servitù negativa e non apparente, conferendo al suo titolare la facoltà di vietare al proprietario del fondo servente un particolare e determinato uso del fondo stesso, ovvero la sopraelevazione di edifici. Essa, dunque, non può essere costituita a titolo originario, mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia, ma solo in virtù di un atto di autonomia privata, sia esso contratto o testamento, e come tale soggetto all’obbligo della forma scritta a pena di nullità e della trascrizione nei registri immobiliari per poter essere opponibile ad eventuali terzi acquirenti del fondo servente.

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Trib. Salerno, 09-07-2002

La crescita di una pianta rampicante, che limita il diritto di veduta del panorama al proprietario di un immobile vicino, non rientra tra le ipotesi idonee a ledere una servitù “altius non tollendi”, poichè questa richiede particolari opere che qualifichino il bene in modo certo, non essendo sufficiente il semplice diritto di veduta.

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App. Napoli Sez. II, 29-01-2010

In tema di servitù altius non tollendi il contenuto del diritto si concreta nel dovere del proprietario del fondo servente di astenersi da qualunque attività edificatoria che muti l’altezza del proprio edificio, quale che sia in concreto l’entità della compressione o riduzione del vantaggio al fondo di detta attività.

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Trib. Torino Sez. II Dec., 06-12-2004

Nel caso di servitus altius non tollendi, nella quale l’esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il mancato uso dello jus prohibendi da parte del proprietario del fondo dominante, nonostante la costruzione sul fondo servente di un edificio di altezza superiore al limite convenzionalmente fissato, per un periodo di oltre venti anni, comporta l’estinzione della servitù per prescrizione nei limiti segnati dalla dimensione della costruzione eseguita e mantenuta. Mentre invece non comporta l’estinzione tout court della servitù ove, a seguito della costruzione che ha violato il limite massimo, risidui ciononostante un ulteriore utilitas a vantaggio del fondo dominante (nel caso di specie il Tribunale ha respinto la domanda di dichiarazione della prescrizione della servitù in un caso in cui il titolare del fondo servente aveva mantenuto da più di vent’anni una costruzione di altezza di circa nove metri a fronte di un limite di otto, fissato nel titolo della servitus altius non tollendi).

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Trib. Lodi, 18-01-2010

La servitù altius non tollendi è una servitù negativa perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività o di porre in essere interferenze sul fondo servente ma di vietare al proprietario di quest’ultimo un particolare e determinato uso del fondo stesso.

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Cass. civ. Sez. II, 27-03-2003, n. 4532 (rv. 561492)

L’aggravamento di una servitù conseguente alla modificazione dello stato dei luoghi o alla sopravvenienza di diverse modalità di esercizio non può ritenersi “in re ipsa”, ma deve essere valutata caso per caso, in relazione al coacervo delle circostanze in concreto esistenti, tenendo conto degli elementi probatori forniti dalle parti, dovendo, a tal fine, l’indagine del giudice di merito essere rivolta non tanto all’accertamento della maggiore “utilitas” che il fondo dominante possa conseguire dalle innovazioni introdotte dal suo proprietario, quanto ad acclarare se il maggior godimento di cui beneficia il proprietario medesimo comporti o meno un’intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente. (Nella specie, i giudici del merito, con sentenza confermata dalla S.C., hanno escluso che le innovazioni apportate nel fondo dominante mercé l’avvio di un esercizio commerciale di ristorazione comportassero un aggravamento, anche solo potenziale, di una servitù “altius non tollendi” ed “inaedificandi”, costituita per garantire una veduta panoramica al fondo medesimo).

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App. Milano, 03-12-2003

L’art. 1127 c.c., disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, è derogabile, come emerge dall’espressa riserva contenuta nel comma 1, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del condominio. Ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione previsto da detta convenzione, avendo sostanzialmente natura di servitù “altius non tollendi”, può essere fatto valere sia dai singoli condomini che dal condominio.

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Cass. civ. Sez. II, 05-12-1997, n. 12350

Nelle servitù negative nelle quali l’esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell’onere di riattivazione del diritto successivamente ad un evento che lo abbia violato e tale evento si produce per il solo verificarsi di un fatto che ne ha impedito l’esercizio. Pertanto, qualora sia stata convenzionalmente costituita una “servitus altius non tollendi” con precisa determinazione del suo limite di altezza, il mancato uso dello “jus prohibendi” da parte del proprietario del fondo dominante, nonostante la costruzione sul fondo servente di un edificio di altezza superiore al limite convenzionalmente fissato, per un periodo di oltre venti anni, comporta l’estinzione della servitù per prescrizione nei limiti segnati dalla dimensione della costruzione eseguita e mantenuta.

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Cass. civ. Sez. II, 15-06-2001, n. 8151

In tema di servitù “altius non tollendi”, il contenuto del diritto si concreta nel dovere del proprietario del fondo servente di astenersi da qualunque attività edificatoria che muti l’altezza del proprio edificio, quale che sia in concreto l’entità della compressione o riduzione del vantaggio al fondo dalla detta attività. In tema di servitù, infatti, il concetto di “utilitas” può comprendere ogni vantaggio, anche di natura non economica, come quello di assicurare semplicemente una maggiore amenità e, pertanto, va tutelata da ogni forma di compressione o ingerenza da parte di chiunque, con il solo limite del divieto di atti emulativi e salva l’eventuale rilevanza dell’entità del pregiudizio al solo fine della quantificazione del risarcimento del danno ove richiesto.

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Cass. civ., 06-03-1980, n. 1522

In tema di servitù altius non tollendi, il più ampio panorama assicurato al fondo dominante, da valutarsi in relazione alle condizioni ambientali in atto al momento della costituzione della servitù medesima, non esaurisce il requisito della utilitas, che ricorre anche in relazione al maggior godimento di aria e luce garantito a detto fondo.

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Trib. Salerno, 09-07-2002

La crescita di una pianta rampicante, che limita il diritto di veduta del panorama al proprietario di un immobile vicino, non rientra tra le ipotesi idonee a ledere una servitù “altius non tollendi”, poichè questa richiede particolari opere che qualifichino il bene in modo certo, non essendo sufficiente il semplice diritto di veduta.

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Cass. civ. Sez. II, 06-12-2000, n. 15504

Il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste dall’art. 1127 c.c. , senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all’esercizio di tale diritto, assimilabili ad una “servitù altius non tollendi”, possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale, di tipo contrattuale.

Cass. civ., 19-04-1983, n. 2712

La sentenza che condanna alla riduzione in pristino per la violazione di una servitù altius non tollendi è opponibile al soggetto che abbia acquistato l’immobile in corso di causa in seguito ad espropriazione forzata se la trascrizione del titolo costitutivo della servitù è anteriore alla trascrizione del pignoramento.

Cass. civ. Sez. II, 27-02-2012, n. 2973

Il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo (c.d. servitù di panorama), in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta.

App. Cagliari, 11-06-1987

La sentenza che condanna alla riduzione in pristino per violazione di una servitus altius non tollendi non è opponibile al soggetto che abbia acquistato l’immobile costruito in violazione di essa per atto tra vivi in corso di causa, qualora l’acquirente abbia trascritto il proprio titolo d’acquisto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale o qualora tale ultima trascrizione manchi del tutto.

Trib. Monza, 09-05-2007

L’indicazione di un’altezza di un edificio non ancora realizzato in una piantina allegata a un contratto di compravendita non pare indicazione sufficientemente univoca per desumerne la costituzione di una servitus altius non tollendi. Può ben trattarsi di un diverso tipo di vincolo, quale un’obbligazione propter rem, ovvero di un mero vincolo personale di tipo obbligatorio.

Cass. civ. Sez. II, 19-03-2013, n. 6823 (rv. 625384)

In tema di limiti della proprietà, non costituisce abuso del diritto, vietato ai sensi dell’art. 833 cod. civ., la creazione di un terrapieno in un terreno agricolo, che pure determini, di fatto, una compressione della facoltà di godimento del proprietario confinante, non sussistendo nel nostro ordinamento una generale proibizione per il proprietario di un fondo di sopraelevare lo stesso, in modo da non pregiudicare il panorama visibile da altro fondo, salva l’eventuale costituzione della “servitus altius non tollendi”. (Rigetta, App. Palermo, 15/12/2005)

Cass. civ. Sez. II, 12-04-2006, n. 8572 (rv. 588338)

La panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell’ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto che può trovare tutela nella servitù “altius non tollendi”, non anche nella servitù di veduta, che garantisce il diritto affatto diverso di guardare e di affacciarsi sul fondo vicino. (Rigetta, App. Napoli, 22 Aprile 2002)

Cass. civ. Sez. II, 18/04/1996, n. 3679

Svolgimento del processo

Con citazione 24 agosto 1956, Vincenzo Sagliocco convenne, davanti al Tribunale di Napoli, Francesco Maria Salvi e Ottorino De Sanctis, titolari della omonima impresa di costruzioni; domandò che fossero condannati al risarcimento dei danni subiti dai fabbricati di sua proprietà, siti a monte della via Orazio in Napoli, per la perdita di veduta, di luce e di sole derivata dalla edificazione di un edificio effettuata dai convenuti su un terreno a valle della suddetta strada, in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 del Regolamento edilizio di Napoli, al piano regolatore generale approvato con legge n. 1208 del 1939 e alla convenzione tra il Comune di Napoli e la società SPEME in data 20 ottobre 1926: violazioni concernenti l’altezza; la superficie coperta ed il rapporto tra questa e quella libera; la distanza dalla strada, dalle aree e dai fabbricati vicini; il numero dei piani.

Francesco Maria Salvi e Ottorino De Sanctis contestarono le avverse pretese e chiesero il rigetto delle domande.

Deceduto Ottorino De Sanctis, con comparsa 30 marzo 1968 si costituirono gli eredi Paola e Fabio De Sanctis e Emilia De Amici, vedova De Sanctis.

Istruita la causa con una consulenza tecnica, con sentenza 7 febbraio – 28 aprile 1973, il Tribunale di Napoli respinse la domanda per difetto di legittimazione attiva, non avendo l’attore dimostrato di essere proprietario degli immobili, che assumeva danneggiati.

Giudicando sull’appello proposto da Sagliocco, in contraddittorio con i predetti convenuti e con Alba Bucci, erede di Francesco Maria Salvi, anch’egli deceduto nelle more, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza non definitiva del 14 novembre – 15 dicembre 1986, dichiarò Sagliocco legittimato a far valere in giudizio il diritto di credito vantato nei confronti degli eredi di Salvi e di De Sanctis; dichiarò che il risarcimento del danno, per la dedotta violazione delle norme urbanistiche, andava determinato, fino alla data di entrata in vigore della variante al Piano Regolatore approvata con D.P.R. 22 gennaio 1960, n. 75, con riferimento alle norme tra loro integrate contenute nel Piano Regolatore della Città di Napoli approvato con L. 29 maggio 1939, n. 1208, e nell’Appendice al regolamento edilizio della stessa città approvata con deliberazione commissariale nn. 2372 e 2584 del 1935, con esclusione della disciplina prevista dalla convenzione SPEME – Comune di Napoli del 20 ottobre 1926; dichiarò, altresì, che per il periodo successivo all’entrata in vigore della variante, il risarcimento del danno doveva stabilirsi alla stregua delle prescrizioni contenute nella Convenzione stipulata tra il Comune di Napoli – SPEME del 20 ottobre 1926; rimise la causa in istruttoria per procedere ad una nuova consulenza tecnica.

Nella successiva fase del giudizio, costituiti Assunta Montesi, erede di Alba Bucci, nonché Fabio e Paola De Sanctis, eredi anche di Emilia De Amici, con nuova sentenza non definitiva 13 novembre – 19 dicembre 1991, la Corte d’Appello di Napoli respinse la domanda di danni in relazione al primo periodo 1956 – 1960; con separata ordinanza dispose la prosecuzione del giudizio per la determinazione dei danni concernenti il secondo periodo.

Contro questa sentenza, ricorre per cassazione Vincenzo Sagliocco; resistono con controricorso Assunta Montesi, Fabio e Paola De Sanctis.

Motivi della decisione

1. – A fondamento del ricorso, il ricorrente deduce: 1.2 Violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 1223, 1226, 2043, 2056 e 2697 cod. civ. , dell’art. 2 dell’Appendice al Regolamento edilizio del Comune di Napoli, approvato con deliberazioni del 15 settembre 1935, n. 2372 e 10 ottobre 1935, n. 2584 del Commissario Straordinario del Comune di Napoli, del Piano Regolatore di Napoli approvato con legge 1 marzo 1939, n. 1208; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.

1.2 Violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 1223, 1226, 2043, 2056, e 2697 cod. civ., dell’art. 2 dell’Appendice al Regolamento edilizio del Comune di Napoli, approvato con deliberazioni del 15 settembre 1935, n. 2372 e 10 ottobre 1935, n. 2584 del Commissario Straordinario del Comune di Napoli, del Piano Regolatore di Napoli approvato con legge 1 marzo 1939, n. 1208; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.

2.1 I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro evidente connessione.

2.2. – Il problema di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere il ricorso, concerne la risarcibilità del danno derivante dalla lesione del panorama goduto da un appartamento. Più analiticamente, il punto è se e quando la esclusione o la diminuzione del panorama, di cui si avvantaggia un determinato appartamento, in seguito alla costruzione di un fabbricato vicino, costituisca, per il proprietario dell’immobile, un danno ingiusto e risarcibile ed in quale misura.

Contro quanto assume il ricorrente, questo danno non può considerarsi in re ipsa, allo stesso modo del danno derivante dalla esclusione o dalla limitazione della servitù di veduta, o dalla violazione delle distanze legali tra gli edifici. Poiché la veduta forma oggetto specifico della tutela giuridica assicurata dalla servitù, la sua esclusione o la limitazione viene a ledere l’oggetto della tutela e, di per sé, costituisce un danno risarcibile; allo stesso modo, in quanto le norme sulle distanze garantiscono l’aria, la luce e la salubrità, la loro inosservanza di per sé cagiona il danno inerente alla lesione dei suddetti beni.

In generale, la risarcibilità del danno dipende dalla antigiuridicità. Specificamente in materia di illeciti edilizi, occorre identificare con esattezza l’interesse tutelato e leso, per effetto della esclusione o della diminuzione del panorama, e stabilire se e quando siffatto pregiudizio si comprenda tra quelli contemplati dalla disposizione di cui all’art. 872, secondo comma, c.c.

In linea di massima, la antigiuridicità del danno si riconduce alla lesione di un diritto soggettivo assoluto e, trattandosi di beni immobili in proprietà, alla lesione di questo diritto, la cui tutela si fonda sul combinato disposto delle statuizioni del codice civile e delle norme concernenti l’edilizia.

2.2. – Il contenuto del diritto di proprietà, uniformemente delineato in astratto dall’art. 832, c.c. , in realtà corrisponde alle possibilità di utilizzazione, effettive e concrete, inerenti ai beni, che ne formano oggetto: perciò, dal diritto (di proprietà) vengono tutelati, in modo differente, le utilità, i profitti, le forme di godimento inerenti alla natura dei diversi beni.

Sebbene il fondo rustico, o stabilimento industriale, l’automobile, il gioiello, l’appartamento costituiscono tutti oggetto del diritto di proprietà – vale a dire, dello stesso diritto soggettivo di natura reale – ciascuno di essi fornisce utilità, profitti e forme di godimento differenziati. Avuto riguardo ai vantaggi specifici connessi con i singoli beni, muta il contenuto delle facoltà di godimento (inerenti al diritto di proprietà), che raffigurano lo strumento formale di tutela. Ai diversi tipi di utilizzazione, di profitto e di godimento, di cui i beni per loro natura sono capaci, corrispondono sul piano formale facoltà differenti, peraltro tutte ricomprese nella nozione generale di godimento.

Nell’ambito dei beni immobili, i locali di un edificio sono suscettibili di utilità diverse, in ragione della loro natura e della loro destinazione: un appartamento utilizzato come civile abitazione o studio professionale, ovvero un locale adibito a negozio, magazzino, officina o palestra offrono utilità, profitti, forme di godimento diversi, la cui tutela è in ogni caso formalmente assicurata dalle facoltà di godimento inerenti al diritto di proprietà.

2.3. – A parità di condizioni generali (per esempio, la ubicazione in una determinata zona cittadina, i collegamenti con i servizi urbani, le strade di accesso ed i parcheggi) e particolari (la solidità delle strutture, i materiali impiegati, gli impianti, la distribuzione dei locali, ecc.), il panorama costituisce un vantaggio, una qualità positiva per un appartamento, di cui accresce il pregio. Allo stesso modo della posizione (per esempio, sulla facciata principale, ovvero su quelle laterali o sul retro dell’edificio); della esposizione, idonea a garantire migliore illuminazione, soleggiamento e salubrità (a mezzogiorno o a nord); dell’altezza del piano rispetto al suolo, il panorama raffigura una qualità, specifica ed individuale, la cui esistenza accresce, in misura più o meno considerevole, il valore dell’unità abitativa anche rispetto alle altre unità immobiliari site nello stesso edificio.

Il panorama non è un elemento necessario e connaturale alle unità abitative; è un elemento accidentale (una qualità positiva), derivante dalla natura delle cose e, precisamente, dalla posizione, dall’esposizione e dall’altezza del piano o della porzione di piano e dalla amenità dei luoghi, nei cui pressi l’edificio è costruito. Non tutti gli appartamenti sono panoramici, come possono non esserlo tutte le unità abitative site nello stesso fabbricato. Certamente, gli appartamenti, i quali godono del panorama, beneficiano di utilità, di profitti, di forme di godimento, che li rendono più richiesti ed apprezzati.

2.4. – Peraltro, il panorama, che accresce il valore dell’immobile, può essere diminuito od escluso del tutto da una nuova costruzione, legittimamente edificata in conformità con le norme civili ed amministrative vigenti. In questo caso, il pregiudizio subito dal proprietario non si qualifica come danno ingiusto e risarcibile ex art. 2043, c.c., in quanto l’opera lesiva fa seguito all’esercizio di un diritto. Colui che edifica nei modi consentiti è immune da responsabilità nei confronti dei vicini, ancorché abbia recato danno privando gli immobili del panorama (qui iure suo utitur neminem laedit).

Le conseguenze sono diverse, invece, se la edificazione sia avvenuta in contrasto con la disciplina concernente l’assetto del territorio. Vale a dire, se le norme relative all’edilizia, in funzione della tutela degli interessi generali ad un ordinato regime urbanistico e territoriale, quali le limitazioni del volume, dell’altezza, della densità degli edifici; le esigenze dell’igiene e della viabilità; la conservazione dell’ambiente o la tutela delle bellezze naturali agli edifici esistenti garantiscono (sia pure indirettamente) il vantaggio del panorama e, implicitamente, vietano che il panorama sia diminuito od escluso dalle nuove costruzioni. Da siffatte norme dettate nell’interesse pubblico, anche gli interessi privati vengono a beneficiare.

La concezione tradizionale, secondo cui le norme urbanistiche, in favore dei privati avvantaggiati, danno luogo ad una situazione di interesse legittimo e dalla lesione di un interesse legittimo non ha origine il diritto al risarcimento del danno, risulta superata dal disposto testuale dell’art. 872, 20 comma, c.c. , da cui scaturisce un diritto soggettivo perfetto, indipendentemente dal fatto che le norme urbanistiche richiamate siano o no integrative del codice civile.

Per la verità, la doppia tutela (amministrativa e civile) non avrebbe senso se non si riconoscesse la doppia valenza della disciplina urbanistica, la quale, nel perseguimento degli scopi di carattere pubblicistico, ad un tempo svolge la funzione di conformare la proprietà privata a tutela dei singoli. In altre parole, lo scopo pubblicistico perseguito dalle norme urbanistiche non esclude la loro diretta rilevanza nei rapporti di diritto civile; non esclude, pertanto, che dette norme possano essere fonte di diritti soggettivi perfetti.

2.5. – Nel caso di diminuzione o di esclusione del panorama, goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, le quali prescrivono determinati standards edilizi, a norma dell’art. 872, secondo comma, c.c. il pregiudizio arrecato costituisce danno ingiusto e, come tale, risarcibile.

Non è controverso che la costruzione del fabbricato edificato dai convenuti, attuali controricorrenti, abbia posto in essere ripetute violazioni – fino all’entrata in vigore della sanatoria – delle disposizioni di cui agli artt. 1 e 2 del regolamento edilizio della città di Napoli, al piano regolatore generale approvato con legge n. 1208 del 1939 ed alla convenzione tra il Comune di Napoli e la società Speme stipulata in data 20 ottobre 1926; violazioni concernenti l’altezza degli edifici; la superficie coperta ed il rapporto tra questa e quella libera; la distanza dalla strada, dalle aree e dai fabbricati vicini; il numero dei piani.

Ammesso che le speciali norme edilizie richiamate sopra non siano integrative della disciplina del codice civile, il proprietario dell’immobile è tenuto a fornire la prova del danno (Cass. 15 dicembre 1994, n. 10775) Detta prova, consistente nel pregio che al panorama goduto da un appartamento riconosce il mercato e, quindi, al deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno della panoramicità, in quanto si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili o valutabili con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche, esige l’indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica (Cass. 30 marzo 1990, n. 2629), intesa ad accertare e vagliare i parametri del pregio e del deprezzamento. Il fatto che gli immobili, che si assumono deprezzati in seguito al venir meno del panorama, siano o non siano stati venduti dal proprietario costituisce una vicenda storica con valore indiziario, ma non il dato unico e decisivo (in tema: Cass. 25 agosto 1992, n. 9859).

2.6. – Il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che deciderà attenendosi al principio di diritto, che si enuncia come segue: il pregiudizio consistente nella diminuzione o esclusione del panorama, goduto da un appartamento e tutelato dalle norme urbanistiche, le quali prescrivono determinati standards edilizi, a norma dell’art. 872, secondo comma, c.c. costituisce danno ingiusto e, come tale, risarcibile. La prova del danno, configurata e dal pregio che al panorama goduto da un appartamento riconosce il mercato e quindi, dal deprezzamento commerciale dell’immobile susseguente al venir meno della panoramicità, in quanto si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili o valutabili con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche, esige l’indagine essenzialmente critica e valutativa tipica della consulenza tecnica.

La Corte di merito provvederà anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma il 7 dicembre 1995.

(LEGGERE QUI – DISCLAIMER)