Distanze minime recinzioni metalliche e riconfinamento fondi contigui

Si ponga il caso di due proprietari confinanti che decidano di rinnovare la rete di confine ma, anzichè installarne una sola, decidano di mettere ciascuno la propria. Le due reti si troveranno a distanza di pochi centimetri l’una dall’altra, creando un’intercapedine impossibile da ripulire da tutto ciò che vi crescerà all’interno.

Il questito cui si tenterà di dare risposta è il seguente: il vicino che ha innalzato in un secondo tempo la nuova rete avrebbe dovuto mantenersi ad una distanza minima da quella già esistente?

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La norma di riferimento, per quanto riguarda le distanze minime tra le costruzioni, è l’art. 873 C.C., il quale recita: “Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.”

Tuttavia, è da capire in primo luogo cosa si intenda per “costruzione”. In dottrina viene adottata un’interpretazione estensiva del termine: “è tale ogni opera edilizia, stabilmente infissa al suolo, con o senza l’impiego di malta cementizia, sempre che, attraverso il sistema di collegamento, si abbia l’incorporazione delle opere al suolo e l’immobilizzazione di esse rispetto al suolo medesimo”. Rientrano nella definizione sia le opere in muratura che in legno o altro materiale, anche non ultimate essendo sufficiente che sia iniziata la costruzione. Non vengono ritenuti tali le fondazioni o lo scavo del terreno (Albano, Le limitazioni, 574).

La ratio della disposizione è quella di impedire strette ed insalubri intercapedini tra gli edifici privati, che, oltre ad ostacolare il godimento della luce e dell’aria, possono favorire anche il propagarsi degli incendi, i furti, ecc. Parte della dottrina ritiene anche che la norma persegua anche finalità urbanistiche come il razionale assetto degli agglomerati urbani e l’equilibrata composizione spaziale della città.

Alla luce di quanto detto, l’articolo si dovrebbe applicare solo per le costruzioni che si fronteggiano in tutto o in parte (Cass. 5892/1995; Cass. 5149/1982). Secondo un più recente orientamento dellla Suprema Corte (Cass. 3854/2014), la norma in commento mira anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la sua densità edificatoria, pertanto ai fini del rispetto di tale norma rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino e dall’esistenza di un dislivello fra i fondi.

Secondo tale ratio, si è sviluppato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il concetto di costruzione si estende “a qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, della stabilità (Cass. 4639/1997) ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un preesistente corpo di fabbrica (Cass. 45/2000) idonea a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà (Cass. 15282/2005; Cass. 3199/2002; Cass. 5116/1998) a nulla rilevando che tale collegamento al suolo avvenga mediante mezzi meccanici i quali consentano mediante manovre o procedimenti inversi una nuova mobilizzazione e l’asportazione del manufatto (Cass. 8691/2000) e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall’uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione e dalla sua destinazione (Cass. 2228/2001; Cass. 12489/1995; Cass. 5670/1991)”.

La Cassazione ha quindi qualificato come costruzione: un chiosco annesso all’impianto di distribuzione di carburante (Cass. 7067/1992), o alcuni cassoni-containers fissati al suolo non mediante malta cementizia ma tramite mezzi meccanici e, in quanto tali, suscettibili di essere facilmente rimossi e spostati (Cass. 12001/1992); i pianerottoli di prolungamento dei balconi e i setti in cemento armato (Cass. 859/2016); si è invece escluso che costituisca “costruzione” un campo da tennis dato che la rete metallica che normalmente circonda simili campi, non essendo capace di intercettare luce ed aria, non può formare un’intercapedine e come tale non rientra nella previsione dell’art. 873 (Cass. 5956/1996).

Quanto stabilito dalla Suprema Corte, si può presumere che sia applicabile per analogia anche alle recinzioni metalliche sorrette da pali e tiranti che vengono utilizzate per recintare e delimitare i fondi rustici.

In sintesi, l’intercapedine che viene a crearsi e la relativa pulizia è di competenza del proprietario di quella porzione di terreno, che sarà anche responsabile per eventuali danni derivanti dalla mancata manutenzione (come ad esempio la propagazione di incendi e/o danni a persone). Il proprietario è, infatti, responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., nelle ipotesi in cui la cosa in custodia (il fondo) abbai causato l’evento dannoso o abbia contribuito concausalmente alla sua produzione, inserendosi in un processo dannoso in atto ed alimentando lo stesso con accentuato dinamismo. (Cass. 6121/1999; Cass. Civ. 17471/2007; Cass. Civ. 2563/2007; Cass. Civ. 25243/2006; Cass. Civ. 15383/2006; Cass. Civ. 26086/2005).

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