Atti che comportano l’accettazione tacita dell’eredità

Il quesito oggetto del presente approfondimento è quello riguardante i poteri del chiamato prima dell’accettazione nonchè le modalità stesse di accettazione.

Posto che “erede” è solo chi accetta l’eredità, cosa occorre fare per divenirlo, o cosa non debbo fare per evitarlo?

L’art. 474 c.c. intitolato “modi di accettazione”, recita testualmente “l’accettazione può essere espressa o tacita”.

Se pochi dubbi esistono su come si manifesti l’accettazione espressa, taluni ne suscita quella tacita, dato che manca -almeno apparentemente- una esplicita manifestazione di consenso.

Posto che anche l’accettazione tacita deve necessariamente estrinsecarsi nella dimostrazione di volontà, è legittimo porsi l’interrogativo su quali siano gli atti che il chiamato, o chi per lui, deve compiere per divenire erede oppure -come più spesso ci viene chiesto in ipotesi di eredità gravate da forti debiti- quali siano gli atti che il chiamato  non deve compiere, per non correre il rischio di divenire erede e rispondere così delle passività con tutto il proprio patrimonio.

In generale

In merito a tale questione, l’art. 460 c.c. dispone che il chiamato può esercitare le azioni possessorie anche se non si trova nella materiale apprensione dei beni ; inoltre può esercitare tutti quegli atti di conservazione, di vigilanza e di amministrazione temporanea dell’eredità. Di converso, per quel che riguarda le vendite, la norma prescrive una previa autorizzazione del giudice per quei beni che non possono essere conservati o che subirebbero un “dispendio” a causa della conservazione1. Il dispositivo della norma ora citata diventa rilevante nella misura in cui si ritiene che tutti gli atti che esorbitino i paletti fissati dall’art. 460 c.c., possano essere considerati alla strega di un’accettazione tacita ( si pensi al caso di una vendita non autorizzata dal giudice , o più in generale a un atto che vada oltre il mero scopo di amministrazione temporanea del patrimonio ereditario ): detto altrimenti, quali sono gli atti che comportano accettazione tacita? La domanda diventa rilevante poiché l’accettazione tacita proietta il chiamato nella qualità di erede puro e semplice, con la prevedibile conseguenza che egli non potrà più esercitare il beneficio di inventario.

Come è dunque qualificabile l’accettazione tacita? l’art. 476 c.c. recita che « l’accettazione è tacita quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede ». Quindi, l’accettazione tacita è un’accettazione pura e semplice che, tuttavia, viene manifestante attraverso un comportamento concludente; cave, non un qualsiasi comportamento, ma un comportamento che non potrebbe essere compiuto se non nelle vesti di erede2. Chiaro è allora, che decisivo sarà il metodo utilizzato al fine di valutare quello che si è chiamato come “comportamento concludente”: in merito a tale tema si registrano, sia in dottrina che in giurisprudenza due teorie.

1) La prima teoria potrebbe essere definita come quella della valutazione obiettiva: la volontà, secondo tale modo di intendere le cose, non viene richiesta in concreto, ma in astratto. Ciò che dovrebbe essere compiuta, non è un’indagine della volontà del chiamato nella fattispecie concreta; di converso bisogna guardare all’atto compiuto e valutare, per l’appunto, se astrattamente lo stesso implica una volontà di accettare3.

2) La seconda teoria, contrariamente alla prima, presuppone che si svolga un’indagine concreta su quella che è stata l’effettiva volontà del chiamato; ciò che andrà verificato è dunque il c.d animus accipiendi4.

Alcuni casi pratici di accettazione tacita dell’eredità

Passando adesso ad una rassegna squisitamente pratica, è opportuno vedere quali sono le principali fattispecie concrete che comportano accettazione tacita dell’eredità:

1) riscossione da parte del chiamato di un assegno rilasciato al de cuius ( Cass. 5.11.1999, n. 12327)

2) cessione di ipoteca ( Cass. 23.6.1958)

3) pagamento di debiti ereditari con denaro prelevato dall’asse ( Cass. 9.11.1974 )

4) esercizio dell’azione di riduzione ( Cass. 9.7.1971.)

5) ricorso contro l’accertamento fiscale in materia di successione e nella successiva stipulazione di un concordato per definire la controversia ( Cass. 18.5.1995 )

6) impugnazioni di disposizioni testamentarie ( Cass. 23.6.1958. )

7) proposta di contratto e più precisamente nella richiesta di divisione poiché comportamento che palese una chiara volontà negoziale ( Cass. 11.10.1977. )

8) esperimento dell’azione di regolamento dei confini ( Cass. 12.11.1988. )

9) esperimento dell’azione divisoria, poiché il suo esperimento presuppone la comunione ereditaria ( e dunque, si intende, la qualità di erede; ( Cass. 4.6.1994. )

10) partecipazione del chiamato, sia pure in contumacia, a due giudizi di merito concernenti beni del de cuius ( Cass. 8.6.2007 n. 13384 )

11) esperimento di azioni giudiziarie finalizzate alla rivendica o alla difesa della proprietà, o al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari ( Cass. 27.6.2005, n. 13738 )

12) esperimento da parte del chiamato di azioni giudiziarie volte ad ottenere il pagamento di crediti ( Cass. 13.6.2008, n. 16002 )

13) intervento in giudizio da parte di un chiamato nella qualità di erede legittimo del de cuius anche in caso di successiva cancellazione dal ruolo della causa per inattività delle parti ( Cass. 8.4.2013, n. 8529)

14) richiesta da parte del chiamato della voltura catastale ( Cass. 11.5.2009, n. 10769 ).

Come può essere osservato, tutti gli atti in questione – pur sicuramente non esaustivi della totalità delle fattispecie concrete immaginabili suscettibili di esprimere una tacita volontà di accettazione – presentano un fil rouge di fondo: l’intenzione del chiamato di comportarsi come erede, e dunque la sua volontà di assumere tale qualità.

Di converso, non sono stati ritenuti come esplicanti una tacita volontà di accettazione i seguenti atti:

1) costituzione in giudizio, quando volta a far valere il proprio difetto di legittimazione ( in quanto atto volto a testimoniare una volontà di non accettare ( Cass. 3.8.2000, n. 10197 )

2) vendita di beni mobili o di scarso valore per pagare il funerale o l’impossessamento di indumenti di scarso valore5

3) denunzia di successione e pagamento della conseguente imposta ( Cass. 13.5.1999, n. 4756 )

4) immissione nel possesso dei beni ereditari, proprio perché il chiamato, coerentemente a quanto dispone l’art. 460 c.c., ha la facoltà di esercitare le azioni possessorie ancor prima che sia avvenuta l’accettazione ( Cass. 12.1.1966, n. 178; Cass. 15.2.2005, n. 3018 )6

5) comportamento dell’erede , che di fronte alla richiesta di rilascio di immobili rientranti nell’asse ereditario, opponga l’esistenza della delazione in suo favore ( Cass. 18.8.1981, n. 4943 ).

(leggi qui – Disclaimer)

Note

1Dibattuta in dottrina è la questione che si interroga sul punto se il chiamato all’eredità abbia un obbligo di gestione dell’asse ereditario o una mera facoltà. più in particolare, secondo alcuni ( e vedi AZZARITI G., Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990 ), il chiamato sarebbe un vero e proprio curatore dell’eredità, con la conseguenza che la sua non sarebbe una semplice facoltà di amministrazione, ma un vero e proprio obbligo; secondo altri, all’opposto ( si veda con riferimento a tale orientamento CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1977 ), il chiamato avrebbe una mera facoltà di gestione del patrimonio ereditario, con la conseguenza di non poter essere ritenuto responsabile in caso di mancata amministrazione. Corollario ancillare a questa distinzione è la distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione: secondo alcuni ( GROSSO-BURDESE, Le successioni, Parte generale, Tr. VAS., Torino, 1977) gli atti consentiti senza autorizzazione del giudice sarebbero anche quelli di straordinaria amministrazione che hanno come fine ultimo la conservazione del patrimonio; secondo altri (BIANCA C.M., Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 1985 ), gli atti di straordinaria amministrazione che non comportano accettazione tacita sono solo quelli autorizzati dal giudice ex. art. 460 c.c.

2La giurisprudenza ( Cass. 7.7.1999 ) ritiene inoltre che l’accettazione tacita possa essere integrata da tutti quegli atti che presuppongono una volontà di non rinunziare all’eredità.

3GROSSO-BURDESE, Le successioni, Parte generale, Tr. VAS., Torino, 1977; FERRI L., Successioni in generale, Com. S.B., Bologna-Roma, 1980; Cass. 27.6.2005 n. 13738; T. Milano 15.11.2005.

4GIANNATTASIO, Delle successioni, Com.UTET, I, Torino, 1978; Cass. 19.10.1988, secondo cui « Nel solco di un consolidato indirizzo rileva questa corte che in tema di accettazione tacita di eredità si deve aver riguardo più all’animus dell’agente ed alla sua volontà, dalla quale l’atto procede, che all’atto stesso – trattandosi di interpretazione della volontà-senza e contro la quale non si diventa eredi »

5BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2010.

6Con riferimento a tale punto la S.C. ( Cass. 19.7.2006, n. 16507 ) ha precisato che la richiesta di immissione nel possesso dei beni non è per forza di cose sintomo di una volontà di accettazione; questo perché la suddetta richiesta potrebbe essere volta a un puro fine conservativo di quello che è il patrimonio ereditario; tuttavia il punto di interesse è come la Cassazione, dal concorso si una serie di elementi deduca un’accettazione ex lege dell’eredità. Più in particolare il giudice di legittimità ritiene che la fattispecie concreta, nella quale vi sia il concorso della delazione, del possesso dei beni, e della mancata redazione dell’inventaria, alla luce del combinato disposto degli artt. 486 c.c. e 476 c.c., possa integra un’accettazione ex lege dell’eredità : ” La Commissione regionale ha correttamente dedotto dalla mancata redazione dell’inventario da parte degli Eredi rimasti al possesso dei beni la loro qualità di eredi puri e semplici, à sensi del combinato disposto degli artt. 476 e 485 cod. civ., comma 2 ritenendo tardiva e comunque irrilevante la rinunzia all’eredità effettuata dagli stessi, a distanza di circa cinque anni dalla scomparsa del “de cuius”. Se è vero .infatti che il possesso di beni ereditari non presuppone di per sè la volontà di chi li possiede di accettare la eredità (Cass. 178/96; 12753/99), potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato, così come la semplice delazione non è sufficiente, pur costituendone il presupposto, all’acquisto della qualità di erede (Cass. 6479/2002), tuttavia tali circostanze, presenti nella fattispecie, debbono essere valutate – così come ha fatto la Commissione Regionale – in una con la mancata redazione dell’inventario, che di per se ha comportato accettazione dell’eredità ex lege, fattispecie di cui sono elementi costitutivi, appunto, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. 11634/91; 6479/2002; 3696/2003) “.