L’usucapione di beni immobili

L’usucapione è uno dei modi di acquisto della proprietà previsto dal nostro codice civile e si realizza mediante il possesso continuato e non clandestino di un immobile per un periodo di tempo non inferiore (salvo quanto disposto dall’art.1159 e 1159bis c.c.) ai venti anni.

Le ragioni che giustificano l’istituto dell’usucapione sono per lo più da ricercarsi nell’inerzia da parte del titolare del diritto, nel consolidarsi delle situazioni ad opera del tempo a favore di un terzo che agisce come se fosse il proprietario del bene, nonché nell’esigenza fondamentale della certezza nelle situazioni giuridiche.

Volendo iniziare questo approfondimento con un esempio, si prenda il caso di un agricoltore che coltivi, per un periodo di tempo superiore ai venti anni, un terreno ritenendolo in tutta buona fede proprio (seminando, raccogliendo i frutti, eseguendo opere di miglioria, ecc.): sarebbe del tutto ingiusto, dopo un lasso di tempo così lungo che un altro soggetto, seppur formalmente legittimo proprietario, pretendesse la restituzione di quel terreno.

Il primo elemento perché si abbia l’acquisto per usucapione è quindi l’animus di chi possiede il bene: per usucapire un campo, ad esempio, il possesso del bene dovrà essere proprio a titolo di proprietà cioè con l’animo e la convinzione di tenere una cosa propria; ciò è di estrema importanza poiché lo stesso comportamento materiale, ma con differente animus , vale a dire con differente convincimento, può portare a situazioni completamente antitetiche. Se il conduttore di un fondo infatti, dovesse tenere in affitto un terreno (pur non pagando il canone) anche per trent’anni, ciò non varrebbe assolutamente ai fini dell’usucapione, perché egli sarebbe perfettamente consapevole di non aver lavorato un proprio terreno, bensì uno altrui. Se invece nel medesimo lasso di tempo lo stesso soggetto avesse lavorato il fondo ritenendolo proprio non ricevendo contestazioni, allora si potrebbe avere l’usucapione.

Da quanto sopra risulta fondamentale il convincimento in base al quale un bene è posseduto: nel primo caso infatti il possessore diverrà proprietario, nell’altro invece rimarrà semplicemente conduttore del fondo.

Relativamente al requisito della non interruzione dei venti anni, la giurisprudenza indica che l’usucapione non viene interrotta né da atti di intimazione, né da turbative di fatto né da quant’altro di diverso dall’azione giudiziaria tesa al recupero del possesso del bene da parte del proprietario.

“. Ne discende che ai fini dell’interruzione del decorso del termine utile per l’usucapione sono inidonei quegli atti dispositivi del proprietario che non siano diretti al recupero del possesso, tanto nel caso in cui siano del tutto ignorati dal possessore, quanto nel caso in cui gli siano a qualsiasi titoli notificati o comunicati. Pertanto nessuna rilevanza possono assumere ai fini della decisione sulla domanda di accertamento dell’avvenuta usucapione gli atti di costituzione di ipoteche compiuti dal proprietario del bene, non comportando questi alcun trasferimento dello “ius possessionis” che il possessore continua ad esercitare, ne’ puo’ riconoscersi effetto interruttivo al processo di esecuzione promosso dai creditori nei confronti del proprietario del bene, restando escluso che il decreto di aggiudicazione emesso in questa sede possa prevalere sull’usucapione maturata in favore del possessore .”

Cassazione civile sez. II, 14 novembre 2000, n. 14733

Nel caso di più “compossessori”, ovverosia di più soggetti nella condizione di usucapire il bene, è opportuno sottolineare che la interruzione del termine ventennale operata nei confronti di uno di essi non ha valenza alcuna nei confronti degli altri.

” Gli atti interruttivi dell’usucapione eseguiti nei confronti di uno dei compossessori non hanno effetto interruttivo nei confronti degli altri, in quanto il principio di cui all’art. 1310 c.c., secondo cui gli atti interruttivi contro uno dei debitori in solido interrompono la prescrizione contro il comune creditore con effetto verso gli altri debitori, trova  applicazione  in materia di diritti di obbligazione e non di diritti reali, per i quali non sussiste vincolo di  solidarietà, dovendosi, invece, fare riferimento ai singoli comportamenti dei compossessori, che giovano o pregiudicano solo coloro che li hanno (o nei cui confronti sono stati) posti in essere.”

Cassazione civile sez. II, 5 luglio 1999, n. 6942

Ultimo requisito per l’usucapione è l’ esercizio non clandestino del possesso per il quale è sufficiente che questo sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, “così da palesare l’animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato” (C. Cassazione 1986/6997). Per esercizio non clandestino deve intendersi non “nascosto o segreto” vale a dire un utilizzo del bene “alla luce del sole”; si prenda l’esempio di un terreno boschivo: se un soggetto lo coltivasse normalmente, tagliando le piante di anno in anno e facendo la regolare pulizia come per qualsiasi altro bosco, ciò basterebbe a soddisfare questo criterio. Se invece, per assurdo, l’agricoltore lo utilizzasse senza mai farsi vedere da alcuno e nascondendosi da chiunque, questo non servirebbe a far ricorrere le condizioni per l’usucapione. Si deve considerare infatti che l’intenzione del Legislatore è quella di dare certezza al diritto, ma è evidente che tale obiettivo non può essere raggiunto mediante sotterfugi o raggiri.

Analizzati tutti i requisiti necessari, per maggior chiarezza esplicativa, si prenda un altro esempio pratico: se dopo più di venti anni dalla vendita di un terreno, uno dei due confinanti si dovesse accorgere che i confini tracciati nella realtà sono diversi da quelli originariamente previsti nell’atto di vendita, potrebbe fare ben poco per far rispettare il vecchio contratto poiché avrebbe ormai perso la porzione di terreno ricompresa nella proprietà del vicino avendola quest’ultimo usucapita. Lo stesso discorso potrebbe farsi nel caso di una abitazione presente sul fondo: se un soggetto si insediasse in una abitazione ritenendola propria e vi rimanesse, nei modi già analizzati, per più di due decenni egli ne acquisirebbe la proprietà ed a nulla varrebbero le eventuali tardive rivendicazioni dell’ex proprietario che, sulla base di un vizio dell’originario contratto di vendita, ne chiedesse la restituzione.

Per quanto attiene alla prova dell’usucapione, essa incombe su chi la invoca come titolo per l’acquisto del proprio diritto (C. Cassazione 1961/1385) e può essere fornita con ogni mezzo, anche attraverso presunzioni, purché aventi i requisiti di legge, e fatti notori ancorché limitati ad un ristretto ambito territoriale (C. Cassazione 1975/4068) ed anche con testimoni (C. Cassazione 1981/2326), purché non si tratti di persone recatesi sul fondo ad ampi intervalli ovverosia tali da far incorrere in errore o da far figurare una situazione falsata.

In ultimo è opportuno ricordare che la proprietà di immobili non è l’unico diritto “usucapibile”: possono essere acquistati in questo modo infatti, qualora ne sussistano i requisiti, anche le servitù apparenti, l’uso, l’abitazione e l’enfiteusi nonché la proprietà di beni mobili, mentre non possono esserlo né i diritti reali di garanzia né i diritti personali.

(A.D. 2002)