La nuova figura dell’imprenditore agricolo
Il 1° comma del nuovo art.2135 c.c., così come introdotto dal D.lgs 228/2001, stabilisce: “E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”. Confrontato con il primo comma della precedente formulazione, il nuovo testo si distingue solo per avere sostituito la parola “animali” a quella usata nel testo originario, e cioè “bestiame”, ma si tratta di una modifica di non poco conto, poiché estende in modo totale il campo di applicazione dello statuto dell’imprenditore agricolo ad ogni allevatore di animali.
Oltre a ciò, la nuova formulazione dell’articolo in esame ha introdotto anche un’altra innovazione di assoluta importanza, ovverosia il collegamento della attività agricola allo sviluppo di un “ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. Pertanto si ha attività imprenditoriale agricola quando si opera intervenendo nel ciclo biologico di piante ed animali al fine di favorirne lo sviluppo, o di stimolare la produzione da parte di essi di certi prodotti (si pensi alla produzione di frutta, di latte, ecc.): tale modifica ha portato ad un notevole ampliamento del novero delle attività imprenditoriali da considerarsi agricole.
La norma peraltro, risulta più complessa, essendo integrata da alcune precisazioni, ed in particolare:
– non si richiede che il ciclo biologico sia svolto integralmente, essendo sufficiente “una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale”. Questa soluzione mira ad eliminare ogni dubbio sull’agrarietà di attività d’allevamento di animali e piante limitata ad un periodo della loro vita, come per l’ingrasso di bovini acquistati dall’imprenditore agricolo quando sono ad un certo livello di sviluppo, oppure l’attività compiuta dal serricoltore che vende piantine da trapianto;
– l’attività imprenditoriale è da considerarsi “agraria” solo se utilizza, o potrebbe anche solo teoricamente utilizzare “il fondo, il bosco o le acque” d’ogni tipo; alla luce di questo criterio può essere effettuata una prima semplificazione: l’attività di trasformazione della frutta in confettura non è né potrà mai essere agraria se svolta da una impresa industriale che acquista la frutta all’ingrosso, dal momento che non vi sarebbe alcuna attinenza col fondo. Se invece tale attività fosse svolta direttamente dall’agricoltore utilizzando i frutti della propria terra, tale attività ricadrebbe nel novero di quelle “agricole”. Sempre alla luce di tale criterio, anche un allevamento di polli può essere considerato attività agraria infatti, benché svolto in un capannone, ben potrebbe essere “teoricamente” svolto su di un fondo rustico.
Infine, il 2° comma considera agraria anche l’attività che potrebbe sfruttare le acque dolci, salmastre o salate. Questa soluzione comporta che l’attività agricola si estenda ben oltre l’allevamento di animali o piante che si ottengono (o che si potrebbero ottenere) sul terreno, per coprire tutte le ipotesi di allevamento possibile su terra e in acqua, la quale può essere dolce (laghi, fiumi, valli d’acqua dolce), salmastra (valli salmastre) o salata (valli d’acqua salata e lo stesso mare).
La nuova formulazione dell’articolo 2135 c.c., ha dunque chiarito la nozione giuridica di imprenditore agricolo, eliminando l’indissolubile collegamento fra prodotti e terra, ed arrivando fino alla perdita del carattere territoriale dell’attività agricola.
Il 3° comma c.c. infine, si occupa delle attività connesse tipiche che vengono elencate in modo molto diffuso: “manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell’allevamento d’animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero la ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Anche questo comma appare indirizzato all’ampliamento delle attività svolte dall’imprenditore agricolo, spingendosi molto avanti nella strada della multifunzionalità, anche se non si può negare che molte delle attività che elenca si sarebbero già potute considerare comprese fra quelle di trasformazione e alienazione svolte normalmente dall’imprenditore agricolo, secondo la vecchia formula.
In ogni modo, non si può non osservare come la multiattività sia stata molto ampliata, ammettendo largamente lo svolgimento, da parte dell’imprenditore agricolo, di attività “non agrarie” senza che ciò comporti la perdita della qualità “agraria”, e tutto ciò al fine di apprestargli nuove opportunità di integrazioni di reddito.
Inoltre, il comma 2° dell’art.1 del decreto legislativo n. 228, riconosce la qualifica di imprenditori agricoli anche alle cooperative o loro consorzi “quando utilizzano (.) prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico”. Pertanto le cooperative, potendo disporre di gran copia di materie prime fornite da molti soci, possono svolgere un’attività agro-industriale mantenendo la qualifica di imprenditori agricoli per quanto riguarda la trasformazione, e metalmeccanica o chimica, per fare solo due esempi, se svolgono attività di fornitura di beni e servizi a soci agricoltori producendo esse stesse i beni distribuiti ai cooperanti; con questa formulazione, tuttavia, si sottrae un certo numero di imprese alle regole commerciali per assoggettarle a quelle agricole anche se svolgono attività che lo stesso nuovo art.2135 c.c. non considera agrarie.
(A.D. 2002)