Espropriazione di suoli agricoli per motivi di pubblico interesse

La materia delle espropriazioni per pubblico interesse è regolata da due differenti disposizioni legislative, la legge 865 del 1971 (come modificata ed integrata dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10 e dalla L. 27 giugno 1974, n. 247), e la legge 359 del 1992 .

La differenza tra le due disposizioni riguarda il loro campo di applicazione: mentre la prima detta i criteri per le espropriazioni di terreni agricoli e suoli non edificabili, la seconda può essere utilizzata solamente nel caso di suoli edificabili.

Per quanto concerne i terreni agricoli occorre sottolineare che la L 865/1971 ha subito sostanziali modifiche a seguito della pronuncia di incostituzionalità (C. Cost. Sent. 5/’80) e conseguente parziale abrogazione di alcuni articoli, tra i quali l’art.16 sulla determinazione dell’indennizzo.

Infatti, mentre prima la legge prevedeva che per la valutazione dell’indennizzo si dovesse seguire il criterio del “valore agricolo medio”, a seguito della richiamata sentenza della C. Costituzionale, il principio da adottare è stato quello del completo ripristino del danno subito considerando il valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo espropriato, anche in relazione all’esercizio effettivo dell’azienda agricola.

Per raggiungere tale obiettivo e rendere le valutazioni quanto più possibile attinenti alla realtà del mercato, sono state costituite presso ogni Provincia (come sancito dall’art.16 della L. 865/’71), delle commissioni composte dal presidente dell’amministrazione provinciale che la presiede, dall’ingegnere capo dell’ufficio tecnico erariale, dall’ingegnere capo del genio civile, dal presidente dell’Istituto autonomo delle case popolari della provincia (o da loro delegati), oltre che da due esperti nominati dalla regione in materia urbanistica ed edilizia e tre esperti in materia di agricoltura e di foreste scelti dalla regione stessa su terne proposte dalle associazioni sindacali agricole maggiormente rappresentative.

Tali commissioni determinano ogni anno, entro il 31 gennaio, nell’ambito delle singole regioni agrarie delimitate secondo l’ultima pubblicazione ufficiale dell’Istituto centrale di statistica, il valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati.

Tali valutazioni, sono alla base degli indennizzi spettanti ai proprietari espropriati.

Anche a tale riguardo occorre tuttavia effettuare una prima ed importante differenziazione, ovverosia quella tra agricoltori diretti che coltivano manualmente il fondo, imprenditori agricoli e proprietari che abbiano concesso il proprio fondo in affitto.

Recita l’art.17 L.865/1971: ” Nel caso che l’area da espropriare sia coltivata dal proprietario diretto coltivatore, nell’ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell’art.12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo . Nel caso invece che l’espropriazione attenga a terreno coltivato dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno stesso, ferma restando l’indennità di espropriazione determinata ai sensi dell’articolo 16 in favore del proprietario, uguale importo dovrà essere corrisposto al fittavolo, al mezzadro, al colono o al compartecipante che coltivi il terreno espropriando almeno da un anno prima della data di deposito della relazione di cui all’art.10. L’indennità aggiuntiva prevista dai precedenti commi è determinata in ogni caso in misura uguale al valore agricolo medio di cui al primo comma dell’art.16 corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato, ancorché si tratti di aree comprese nei centri edificati o delimitate come centri storici. Le maggiorazioni di cui al primo e secondo comma del presente articolo vengono direttamente corrisposte ai suindicati soggetti nei termini previsti per il pagamento delle indennità di espropriazione.”

Come si noterà facilmente, ricopre assoluta importanza, ai fini della determinazione dell’indennizzo, il fatto che il proprietario sia o meno diretto coltivatore del fondo da espropriare; la ratio della norma è ovviamente quella di favorire economicamente il proprietario, piccolo coltivatore, che dovesse trarre sostentamento dalla coltivazione del fondo stesso. A tale riguardo è opportuno sottolineare quali siano esattamente le categorie cui la disposizione di particolare favore, prevista dall’art.17 L.865/1971, si deve applicare e per fare ciò è opportuno far riferimento alla sentenza della C. Cassazione sez. I, 27 aprile 1999, n. 4191, la quale indica:

“In tema di espropriazione di suoli agricoli, l’art.17 della l. n. 865 del 1971, nel riconoscere un diritto alla cd. “indennità aggiuntiva” in favore dei soggetti che traggono i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo (fittavolo, mezzadro, colono, compartecipante, proprietario coltivatore diretto), condiziona la concreta erogazione del beneficio alla utilizzazione agraria del terreno, con conseguente esclusione, dal novero dei soggetti aventi diritto, non soltanto dell’affittuario esercente attività diverse dalla coltivazione e produzione agricola, ma anche dell’imprenditore agricolo (di colui che eserciti, cioè, la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale su quello lavoro e con impegno prevalente di mano d’opera subordinata) tanto individuale, quanto costituito sotto forma di società di capitali, senza che tale esclusione possa dirsi in contrasto con i principi costituzionali di cui all’art.3 della Carta fondamentale, attesa la oggettiva differenza tra tali soggetti e quelli espressamente menzionati dalla ricordata norma di legge. (Principio affermato con riferimento ad una richiesta di indennità aggiuntiva avanzata da esercenti attività vivaistica di tipo imprenditoriale su di un fondo oggetto di espropriazione parziale).”

Appare quindi evidente che, per ottenere l’indennizzo di cui all’art.17 L.865/1971, ovverosia il triplo dell’indennità provvisoria, il proprietario dovrà anche essere il diretto coltivatore del fondo e tale attività dovrà essere per lui di particolare importanza tanto è vero che la Corte di Cassazione indica come requisito essenziale che i soggetti in questione ” traggano i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo”.

Per quanto riguarda il proprietario non coltivatore diretto del fondo, ai sensi dell’art.12 della L.865/’71, egli potrà, entro trenta giorni dalla notificazione dell’avviso di cui al quarto comma dell’art. 11, “convenire con l’espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50 per cento dell’indennità provvisoria determinata ai sensi dei successivi articoli 16 e 17”.

Pare utile sottolineare inoltre che, in caso di espropriazione parziale del fondo, la misura dell’indennità deve essere rapportata, oltre che al prezzo della parte sottratta, anche alla eventuale diminuzione subita dalla parte residua a seguito dell’espropriazione (art.40 L. 2359/1865), purchè tra la porzione non espropriata e la porzione espropriata ricorra una relazione di dipendenza e connessione. Inoltre, in questo caso, il proprietario dell’immobile può chiedere che l’espropriante acquisisca anche le porzioni residue che siano prive di utile destinazione, senza la parte espropriata.

Tale assunto è autorevolmente confermato, per quanto attiene specificamente alle Aziende Agricole, da una recente sentenza della Corte di Cassazione la quale, sulla base del disposto degli art.16 della L 865/’71 e 5 Bis L359/’92 ha statuito che:

“In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971, come modificato dall’art.14 della legge n. 10 del 1977 (sentenza della Corte Cost. n. 5 del 1980), nella parte in cui imponeva il criterio del valore agricolo medio dei terreni a prescindere dalla loro destinazione economica, non comporta che, in caso di espropriazione di terreni ad effettiva destinazione agricola, la relativa indennità debba quantificarsi automaticamente in misura pari al prezzo di mercato del fondo ed al suo valore venale, dovendo essa invece essere commisurata, ai sensi del combinato disposto degli art.15 e 16 della citata legge n. 865 del 1971 (cui si riferisce, ancora, il comma 4 dell’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992), al valore agricolo del fondo medesimo, quale si determina sia in base alla media dei valori, nell’anno solare precedente il provvedimento ablativo, dei terreni ubicati nell’ambito della medesima regione agraria nei quali siano praticate le stesse colture in opera nel fondo  espropriato,  sia  in  relazione  all’incidenza dell’espropriazione nei riguardi dell’azienda agricola della quale il fondo è elemento. “

A maggior chiarimento di cosa si debba intendere per “. incidenza dell’espropriazione nei riguardi dell’azienda agricola.” è utile indicare come, sempre secondo la Suprema Corte:

“Nel disporre, con riferimento all’espropriazione di terreni agricoli, che l’indennità deve essere determinata anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, l’art. 15 l. 22 ottobre 1965 n. 865 introduce quale componente essenziale di essa anche il ristoro del pregiudizio subito dall’azienda, considerata nel suo complesso , per effetto del provvedimento ablativo, onde deve tenersi conto dei maggiori oneri di conduzione aziendale determinati dallo smembramento dei terreni, per effetto dell’espropriazione, pur se essi non siano di proprietà del titolare dell’azienda.”

Cassazione civile, sez. I, 14 maggio 1998, n. 4848

 Qualora invece, l’espropriazione di una parte dovesse arrecare un vantaggio “speciale ed immediato” alla parte residua, dovrà essere sottratta dall’indennità la misura dell’eventuale beneficio (art.41, L.2359/1865).

E’ attribuito al proprietario il c.d. ius separandi che consiste nella facoltà di asportare dall’immobile espropriato alcuni beni: nel caso di fondi agricoli, ad esempio, i frutti pendenti.

Dal momento che è con il decreto di esproprio che si verifica ufficialmente il passaggio del bene, il prezzo dovrà essere calcolato in riferimento alla data dello stesso, ma senza considerare l’eventuale deprezzamento dovuto all’apposizione del vincolo espropriativo.

Un’ultima considerazione deve essere fatta circa la qualità di “coltivatore diretto”: la Suprema Corte di Cassazione ha statuito (Sent 7/8/1992, n.9355) che l’affittuario coltivatore diretto, per poter ottenere l’indennizzo previsto per legge, debba possedere tale qualità (di affittuario) da almeno un anno, rispetto al giorno in cui è reso noto il programma espropriativo.

E’ infine opportuno ricordare che la disciplina sopra illustrata è destinata ad essere sostituita, salvo nuovi rinvii, a far data dal 30 Giugno 2003 dal nuovo Testo Unico in materia.