Nel giudizio di Cassazione la sentenza impugnata va depositata in formato cartaceo.

Con recente sentenza la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema del  deposito cartaceo della sentenza nel procedimento di impugnazione innanzi a sè, stabilendo (con argomentazioni non esenti da critiche) l’improcedibilità del ricorso in caso di mancanza, nel fascicolo, di copia della sentenza impugnata con attestazione di conformità (pur essendo presenti tanto la copia cartacea della sentenza, non disconosciuta dalla controparte, sia pure la PEC di notifica contenente l’attestazione di conformità della sentenza ai fini della notifica stessa).

Le ragioni di tanta severità così sono sintetizzate in un passaggio della sentenza dalla Corte stessa:

1) il mittente deve formare copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata inviato, degli allegati, e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna;

2) il destinatario, invece, deve estrarre copie analogiche del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e dei suoi allegati, tra i quali è inclusa la relazione di notificazione L. n. 53 del 1994 , ex art. 3-bis, comma 5;

3) in ogni caso, il procuratore (mittente o destinatario) è tenuto ad attestare la conformità all’originale digitale dei documenti prodotti in formato analogico;

4) ovviamente, non essendo operative in questo grado le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali, la sottoscrizione in calce all’attestazione cartacea depositata presso la cancelleria della Corte deve essere necessariamente autografa (manuale) e non digitale (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7443 del 23/3/2017).

La prima critica che può essere mossa alla sentenza, è che -nel caso in esame- erano stati depositati tanto la copia della sentenza in formato cartaceo quanto pure la PEC di notifica, il cui contenuto non era stato disconosciuto dalla controparte. Come previsto  dall’art.23 comma.2 del D.Lgs 82/2005 «Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.». Tale norma, applicabile al processo civile giusto il richiamo dell’art. 2, comma 6 (ultimo periodo), del citato d.lg. n. 82/2005 (cd. codice dell’amministrazione digitale), rende decisivo ciò che la Corte di Cassazione ha trascurato, ossia la circostanza che nessuno abbia sollevato contestazioni sulla genuinità del messaggio PEC – con gli annessi allegati – integrante la notifica telematica della sentenza.

In mancanza di contestazioni la Corte avrebbe potuto (o forse sarebbe il caso di dire, “dovuto”) riconoscere l’equivalenza delle copie analogiche agli originali dei documenti informatici, facendo da ciò discendere la superfluità dell’attestazione di conformità, con conseguente procedibilità del ricorso per cassazione.

Di seguito il testo integrale della sentenza

Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 19/07/2017) 16-10-2017, n. 24347

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. penta Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 25370/15) proposto da:

P.A., (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Delle Milizie n. 38, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Aprile e rappresentata e difesa dall’avvocato Prospero Pizzolla, come da mandato a margine del ricorso; (TAG deposito cartaceo della sentenza)

– ricorrente –

contro

Pa.Co., (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Tagliamento n. 31, presso lo studio dell’avvocato Stefania Ponzi, che lo rappresenta e difende, come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Potenza n. 379/2014 notificata in data 13.7.2015;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 luglio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Andrea Penta;

uditi gli Avv.ti P.P. per la parte ricorrente e Stefania Ponzi per il controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

Svolgimento del processo
Con sentenza del 2 dicembre 1998 il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda proposta ex art. 2932 c.c. da P.A., quale promissaria acquirente, nei confronti di Pa.Ma. e disponeva il trasferimento della proprietà dell’immobile, oggetto del contratto preliminare concluso tra le parti in data 1 giugno 1988, dal convenuto all’attrice; rigettava, inoltre, la domanda risarcitoria di quest’ultima, nonchè quella riconvenzionale del Pa. volta alla declaratoria di risoluzione del contratto preliminare suddetto.

Interposto gravame, la Corte di appello di Salerno accoglieva l’impugnazione proposta dal Pa.: per l’effetto, rigettava la domanda spiegata in prime cure da P.A. e dichiarava risolto, per grave inadempimento della stessa, il contratto preliminare; respingeva, inoltre, l’appello incidentale della nominata P. che investiva il capo della pronuncia impugnata attinente al risarcimento dei danni.

Tale sentenza veniva impugnata per cassazione dalla P. e questa Corte, con sentenza n. 423/2007, annullava la pronuncia, rinviando alla Corte di appello di Potenza per l’esame delle questioni assorbite (avuto particolare riguardo a quella inerente alla contestata ritualità dell’onere dell’offerta del prezzo residuo). Osservava il giudice di legittimità che la domanda con la quale il Pa., in sede di appello, aveva chiesto la risoluzione anche per l’inadempimento derivante dal mancato pagamento del prezzo, costituiva senz’altro una domanda nuova, non potendo essa ritenersi ricompresa in quella, avanzata in riconvenzionale in primo grado, diretta alla declaratoria della risoluzione di diritto del preliminare (per non essere stato il contratto definitivo stipulato nel termine convenuto, previsto dall’art. 7 del preliminare stesso). Riteneva la Corte che, così facendo, il Pa. avesse ampliato il thema decidendum “dal riscontro di un’inadempienza solo in senso oggettivo, scadenza del termine convenuto per la stipula, peraltro in concreto a lui imputabile, a quello dell’accertamento di un effettivo inadempimento, imputabile alla ricorrente, per l’omesso pagamento del prezzo”.

Riassunto il giudizio, la Corte di appello di Potenza, con sentenza depositata il 4 novembre 2014, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale e condannava gli eredi di Pa.Ma., nei frattempo deceduto, al pagamento dei tre quarti delle spese processuali in favore di P.A..

Quest’ultima ricorre per cassazione contro detta pronuncia, formulando una impugnazione basata su tre motivi. Resiste con controricorso Pa.Co., erede di Ma., il quale ha proposto un ricorso incidentale fondato su due motivi. Non ha svolto attività processuale nella presente sede T.G., nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori R. e A., eredi di Pa.Si., succeduti per rappresentazione nell’eredità del predetto M.. Pa.Co. ha depositato memoria in prossimità della pubblica udienza del 15.9.2016.

Con ordinanza del 5.1.2017 il Collegio, in differente composizione, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione della procedibilità del ricorso quando la produzione della copia notificata, in mancanza di deposito da parte del ricorrente, sia attuata dal controricorrente, disponendo altresì che la Cancelleria provvedesse all’acquisizione dei fascicoli di merito, necessari per lo scrutinio di alcune delle questioni processuali sollevate.

In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Preliminarmente occorre analizzare le questioni della procedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369 c.p.c. , comma 1, n. 2) (per aver omesso la ricorrente di depositare la copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notifica) e della conseguente ammissibilità del ricorso incidentale tardivo.

Quanto al primo aspetto (sollevato dal P.G. nel corso dell’udienza di discussione del 15.9.2016 e, peraltro, rilevabile d’ufficio), va rilevato che entrambe le parti hanno dichiarato, nei rispettivi scritti introduttivi del presente giudizio, che la sentenza emessa all’esito del giudizio di rinvio è stata notificata alla P. a mezzo “pec” in data 13.7.2015.

La ricorrente, all’atto della costituzione in giudizio, ha depositato copia informale della sentenza n. 379/2014 emessa dalla Corte d’Appello di Potenza in data 4.11.2014 preceduta dalla relazione di notifica della stessa da parte del difensore di Pa.Co. e copia “legale” (recte, munita dell’attestazione di conformità all’originale rilasciata dalla cancelleria della corte d’appello) della medesima sentenza, ma priva della relata di notifica.

Dal canto suo, il controricorrente-ricorrente incidentale ha prodotto copia della detta sentenza corredata, in fine, dall’attestazione di conformità all’originale apposta dal proprio difensore.

1.1. Ritiene il Collegio che il ricorso sia improcedibile per la violazione dell’art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata è stata notificata in data 13/7/2015, non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione (nè risulta che tale copia autentica sia stata versata in atti dal controricorrente).

Ed, infatti, la copia, peraltro non autentica, allegata alla produzione del ricorrente (laddove l’altra, pur riportante l’attestazione di conformità all’originale, è priva della relata di notifica), sebbene sia accompagnata dalla relazione di notifica telematica, ai sensi della L. n. 53 del 1994 , predisposta dal difensore della controparte mittente (munita dell’attestazione in ordine alla conformità della fotocopia della sentenza notificata rispetto al provvedimento in formato digitale estratto dal fascicolo informatico), risulta incompleta.  (TAG deposito cartaceo della sentenza)

L’art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 2, prescrive, come è noto, che col ricorso debbano essere depositate, a pena di improcedibilità, la copia autentica della sentenza impugnata e la relazione di notificazione, qualora questa abbia avuto luogo.

La ratio della norma va identificata nell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) di consentire alla Corte di verificare la tempestività dell’impugnazione, anche a tutela dell’esigenza del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale (tra le altre, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19654 del 01/10/2004; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15232 del 09/06/2008; Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009).

Qualora lo stesso ricorrente deduca, come nel caso di specie, che la sentenza impugnata è stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, il giudice di legittimità – indipendentemente dal riscontro della tempestività o della tardività del rispetto del termine breve (questione afferente all’ammissibilità del ricorso, che assume rilievo solo in esito alla positiva verifica della sua procedibilità; ex multis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20883 del 15/10/2015) – deve controllare che la parte abbia ottemperato all’onere del deposito della copia notificata del provvedimento. Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev’essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c. , comma 2 applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c. , comma 1 (Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009).

Più recentemente le Sezioni Unite della Corte hanno parzialmente rivisto il proprio orientamento affermando che “deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 10648 del 02/05/2017).

In quest’ottica, la condizione di procedibilità del ricorso per cassazione, costituita dalla produzione della relata di notifica della sentenza impugnata, è soddisfatta anche quando il documento risulti tempestivamente depositato dal controricorrente o sia ritualmente presente nel fascicolo d’ufficio trasmesso dal giudice a quo.

Non rileva la conferma, proveniente dal controricorrente, dell’avvenuta notificazione del provvedimento impugnato in data 13 luglio 2015.

Il controllo della tempestività dell’impugnazione, di cui la disposizione è espressione, corrisponde, infatti, ad una esigenza pubblicistica e, pertanto, esso è sottratto alla disponibilità delle parti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19654 del 01/10/2004; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15232 del 09/06/2008; Cass., Sez. U., Ordinanza n. 9005 del 16/04/2009, che ha escluso ogni rilievo dell’eventuale non contestazione dell’osservanza del termine breve da parte del controricorrente; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 25070 del 10/12/2010), le quali non possono – nè per esplicita ammissione, nè per effetto di mancata contestazione – sopperire con le loro difese alla produzione documentale della relata di notificazione (nei casi in cui la stessa è resa necessaria dalle allegazioni del ricorrente).

1.2. Il difensore dell’odierna ricorrente ha depositato, unitamente alla sentenza impugnata, la semplice fotocopia della relata di notifica predisposta dal difensore della controparte in vista della notificazione della sentenza della corte d’appello a mezzo p.e.c., documento che non corrisponde nè equivale alla copia autentica della relazione di notificazione.

Quando la notificazione della sentenza impugnata è avvenuta con modalità telematica l’onere di deposito della relata prescritto dall’art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 2, deve essere soddisfatto considerando sia le peculiarità dello strumento impiegato dal mittente (e, quindi, la specifica disciplina dettata per le notificazioni telematiche), sia l’esigenza, propria del giudizio di cassazione, di “convertire” in formato analogico gli atti digitali da depositare (in proposito, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7443 del 23/3/2017). Ciò in quanto nel giudizio di cassazione non operano, tuttora, le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, commi da 1 a 4 e, dunque, rimangono intatte le previsioni di cui agli artt. 365 e 370 c.p.c. , che impongono la sottoscrizione autografa (e non digitale) del ricorso e del controricorso (anche con annesso ricorso incidentale) e il suo deposito in originale cartaceo presso la cancelleria della Corte.

La specificità della notificazione con modalità telematica ha i seguenti paradigmi normativi:

a) la L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis consente agli avvocati di effettuare la notificazione di atti e documenti con modalità telematica e, cioè, impiegando il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;

b) a norma del comma 5 della predetta disposizione, l'”avvocato mittente” è tenuto a redigere “la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata”;

c) nella notificazione telematica il mittente ottiene la “ricevuta di accettazione” (prevista dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 1), fornita dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dallo stesso mittente e contenente i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione del messaggio, e, in seguito, la “ricevuta di avvenuta consegna” (prevista dall’art. 6, commi 2 e seguenti, del menzionato testo normativo), che è emessa dal gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario e costituisce prova che il messaggio è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario (indipendentemente alla lettura che questo ne abbia fatto);

d) la notifica effettuata con modalità telematica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna (Cass., Sez. L., Sentenza n. 20072 del 07/10/2015).

Da ciò consegue, tra l’altro, che all’indirizzo p.e.c. dell'”avvocato mittente” pervengono sia la ricevuta di accettazione sia la ricevuta di avvenuta consegna, documenti in formato digitale che costituiscono prova del perfezionamento della notificazione.

All’indirizzo p.e.c. dell'”avvocato destinatario”, invece, perviene il messaggio di posta elettronica certificata inviato dal mittente coi relativi allegati digitali, ma non giungono ricevute rilasciate dai gestori di posta elettronica certificata.

L’esigenza del destinatario di dimostrare la tempestività del proprio ricorso mediante il deposito (prescritto dall’art. 369 c.p.c. ) della relata di notificazione non può avvenire, dunque, con la produzione di documenti (necessariamente cartacei nel giudizio di cassazione) emessi dai gestori di posta elettronica certificata: i documenti da depositare sono, infatti, il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e la “relazione di notificazione (redatta) su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata” dell'”avvocato mittente” ai sensi del citato L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, comma 5. Nei gradi di merito – nei quali il processo civile telematico è stato da tempo avviato in virtù delle disposizioni del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis, commi 4, 5, 6 e 9-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 , e successive modificazioni e integrazioni il deposito della documentazione delle parti può (anzi, deve) essere eseguito con modalità telematiche e, dunque, il destinatario può produrre nel suo formato digitale anche la relazione di notificazione pervenutagli.

Nel giudizio di cassazione, invece, il deposito ex art. 369 c.p.c. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), poichè l’applicabilità della disciplina del processo telematico nel grado di legittimità è limitata alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili (D.M. Giustizia 19 gennaio 2016, emesso ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 10).

Si verte, dunque, nell’ipotesi disciplinata dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, comma 1-ter, (“In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis”), norma che, nel rimandare al comma 1-bis, dispone che l’avvocato provveda ad estrarre copia su supporto analogico (id est, cartaceo) del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e, poi, ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 23, comma 1, (il quale recita: “Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”).

La diversa documentazione a disposizione del mittente e del destinatario impone, logicamente, di distinguere (ma solo parzialmente) le due situazioni:

1) il mittente deve formare copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata inviato, degli allegati, e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna;

2) il destinatario, invece, deve estrarre copie analogiche del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e dei suoi allegati, tra i quali è inclusa la relazione di notificazione L. n. 53 del 1994 , ex art. 3-bis, comma 5;

3) in ogni caso, il procuratore (mittente o destinatario) è tenuto ad attestare la conformità all’originale digitale dei documenti prodotti in formato analogico;

4) ovviamente, non essendo operative in questo grado le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali, la sottoscrizione in calce all’attestazione cartacea depositata presso la cancelleria della Corte deve essere necessariamente autografa (manuale) e non digitale (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7443 del 23/3/2017).

Con riferimento al deposito, da parte del mittente, del ricorso notificato telematicamente, questa Corte già si è pronunciata (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26102 del 19/12/2016) nel senso che, “Quando non sia fatto con modalità telematiche il deposito del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c. , dell’avvenuta sua notificazione per via telematica va data prova mediante il deposito – in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti – del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna previste dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 6, comma 2”.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi avuto riguardo alla posizione del destinatario della notifica del provvedimento impugnato, dovendosi cioè ritenere che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematica ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione ex art. 369 c.p.c. , comma 2, n. 2, il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, debba estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente L. n. 53 del 1994 , ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica (in questo senso sembra essersi pronunciata Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17450 del 14/7/2017; del medesimo avviso appaiono Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 6657 del 2017 e Cass. n. 16498/2016, quest’ultima in relazione ad un caso cui era stata depositata una copia della sentenza impugnata “uso studio”, priva del visto di conformità, in luogo della copia autentica).

Nel caso di specie, invece, la ricorrente principale ha omesso di produrre, oltre che il messaggio di posta elettronica certificata pervenutole, l’attestazione con propria sottoscrizione autografa della conformità agli originali digitali delle copie analogiche della relazione di notificazione redatta dal mittente L. n. 53 del 1994 , ex art. 3-bis, comma 5, e del relativo messaggio di posta elettronica, essendosi limitata a depositare solo il messaggio di posta elettronica certificata inviatole dalla controparte (in copia cartacea priva della indispensabile attestazione di conformità all’originale).

Di qui l’improcedibilità del ricorso, dovuta, ripetesi, alla mancanza in calce della la relazione di notifica a mezzo pec di qualsivoglia attestazione di conformità della stessa all’originale.

Nè può considerarsi fondata la pur articolata ricostruzione normativa e sistematica operata dalla difesa della ricorrente nella seconda memoria illustrativa del 14.7.2017, a mente della quale, in base al combinato disposto della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3 bis, comma 2, e D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, e art. 23 il potere certificatorio sarebbe riconosciuto solo al notificante, e non anche all’avvocato ricevente la notificazione a mezzo pec (cfr. pag. 5).

Infatti, se è vero che la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis a sua volta richiamato dal successivo comma 1 ter, nell’indicare i documenti rispetto ai quali l’avvocato deve attestare la conformità (messaggio di posta elettronica certificata, suoi allegati e ricevute di accettazione e di avvenuta consegna), sembra immaginata esclusivamente per il difensore che abbia proceduto alla notifica (piuttosto che per quello che l’abbia ricevuta), è altrettanto vero che ragionare diversamente equivarrebbe ad esporre sempre e comunque il ricorrente alla inevitabile declaratoria di improcedibilità. D’altra parte, il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 9 richiede indistintamente l’attestazione della conformità all’originale delle copie su supporto analogico di documento informatico da parte di “un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”, senza operare alcuna distinzione tra avvocato del mittente e del destinatario della notifica.

Da ultimo, nel ribadire che, dati i profili anche pubblicistici sottesi alla verifica della procedibilità di un ricorso in cassazione, è di per sè irrilevante il comportamento processuale inerte o, addirittura, conciliante del controricorrente quanto alla data di notifica della decisione impugnata, è evidente l’impossibilità di riconoscere qualsivoglia valenza probatoria ad una mera fotocopia della relazione di notifica priva di sottoscrizione, che, come tale, non può escludere sia la poi non compiuta notificazione della sentenza sia l’avvenuta sua notificazione in epoca anteriore.

Solo l’attestazione con propria sottoscrizione autografa della conformità agli originali digitali delle copie analogiche della relazione di notificazione redatta dal mittente e del collegato messaggio di posta elettronica assicura, attraverso una esplicita assunzione di responsabilità, l’avvenuta esecuzione della notifica della sentenza ad opera della controparte, dovendosi poi presumere, in assenza di elementi oggettivi di segno contrario, che il perfezionamento della stessa (attraverso la sua effettiva ricezione) si sia verificato lo stesso giorno.

2. Attesa l’improcedibilità del ricorso principale, quello incidentale tardivo proposto nell’interesse di Pa.Co. deve essere considerato inefficace.      (TAG deposito cartaceo della sentenza)

Qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l’eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un’applicazione analogica dell’art. 334 c.p.c. , comma 2, – dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale -, bensì in base ad un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità (Sez. U, Sentenza n. 9741 del 14/04/2008; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2381 del 04/02/2014).

3. In definitiva, mentre il ricorso principale va dichiarato improcedibile, quello incidentale va dichiarato inefficace.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale delle spese relative al presente grado di giudizio.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato nei confronti di entrambe le parti.

P.Q.M.

Dichiara improcedibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale e compensa per intero le spese processuali del presente giudizio.

Dichiara entrambe le parti tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017  (TAG deposito cartaceo della sentenza)

 

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